«Nessuna pianta, nessun albero più deve essere distrutto, per qualsiasi ragione, e il patrimonio vegetale che ancora sopravvive nelle città deve essere dichiarato nazionale e come tale deve essere protetto e conservato, anche contro gli interessi privati degli stessi proprietari». Quando Pietro Porcinai, da molti considerato il più importante architetto paesaggista italiano del Novecento, in una conferenza all’Accademia dei Georgofili nel 1942 esprimeva questo auspicio, non avrebbe mai potuto immaginare che la sorte di una stentata e anonima sopravvivenza e poi di una completa distruzione sarebbe toccata anche a uno dei parchi che lui stesso aveva progettato solo qualche anno prima: il giardino-paesaggio della Colonia permanente “Luigi Concetti” a Bolsena.
Sono pochi a saperlo – e spesso anche persone come me, pur legate a quel luogo da ricordi di vita lontani e profondi, lo hanno appreso piuttosto tardi – ma il parco della Colonia di Bolsena fu uno dei primi interventi del grande maestro Pietro Porcinai, che avrebbe poi progettato e realizzato sistemazioni paesaggistiche per la committenza pubblica e privata più illuminata dell’Italia del secondo dopoguerra. Si pensi, per citare solo alcuni dei principali interventi, allo Stabilimento Olivetti di Pozzuoli, a Villa Ratti sul lago di Como, al Parco di Pinocchio a Collodi, al Memorial per Enrico Mattei a Bascapè, alla sede centrale della casa editrice Mondadori a Segrate, al Parco archeologico di Selinunte.
Fatta costruire dalla Provincia di Viterbo per essere affidata alla gestione del Consorzio antitubercolare provinciale, la Colonia, a partire dalla sua apertura il 16 aprile 1934, ha ospitato centinaia di bambini e bambine a rischio di contrarre la tubercolosi. Solo in seguito, quando l’incidenza della malattia era diminuita per la scoperta di nuovi trattamenti terapeutici, la Colonia aveva assunto funzioni di tipo più genericamente assistenziale, accogliendo bambine e bambini appartenenti a famiglie, sia di Bolsena che dei territori circostanti, che si trovavano, per varie ragioni, in condizioni di momentanea difficoltà. Dagli anni Settanta poi, con l’istituzione delle Regioni e del Servizio sanitario nazionale, il Consorzio antitubercolare aveva cessato l’attività e la Colonia “Luigi Concetti” si era venuta a trovare al centro di un aspro contenzioso tra ASL e Provincia, a causa del fatto che l’immobile aveva svolto storicamente sia funzioni sanitarie che assistenziali e ognuno dei due Enti ne rivendicava la proprietà per le competenze che il nuovo ordinamento gli attribuiva. La finale assegnazione al patrimonio della Provincia non ha impedito che l’immobile continuasse progressivamente a deteriorarsi per l’assenza di manutenzione, conseguente a scelte amministrative in direzione di una sua destinazione ad usi sociali che erano o debolmente sostenute o fortemente contrastate nel succedersi delle maggioranze a Palazzo Gentili.
Il degrado ha coinvolto inevitabilmente anche il parco, della cui illustre paternità e del cui valore da tempo, almeno a livello locale, si era andata perdendo la memoria, se si esclude un tentativo di recupero negli anni attorno al 2010 da parte dell’associazione “Amici delle ortensie” di Bolsena, impegnata meritoriamente a promuovere la cultura e la cura dei giardini anche attraverso l’organizzazione di una manifestazione conosciuta e apprezzata a livello nazionale come la Festa delle Ortensie.
Con la vendita nel 2019 dell’intero complesso immobiliare ad una società privata, le condizioni di deterioramento del fabbricato sono progredite, mentre su quanto restava del parco di Pietro Porcinai in questi giorni di inizio del nuovo anno è stata scritta inesorabilmente la parola fine. Tutti gli alberi e le piante, che ormai sopravvivevano privi di cura e manutenzione, sono stati indiscriminatamente abbattuti e il paesaggio a cui lo sguardo di bolsenesi e turisti era da decenni affezionato, pur essendosi perduta la consapevolezza del suo valore storico-culturale, è diventato un desolante deserto.
Come sempre accade, di fronte alle proteste si cercherà di giustificare l’intervento con ragioni di sicurezza, funzionalità, necessità attuative del progetto e – per carità! – piena rispondenza alle normative urbanistiche e paesaggistiche. Resta però l’obbligo per chi ha compiuto tale devastazione, per chi l’ha eventualmente autorizzata e per chi avrebbe dovuto tutelare l’interesse pubblico, di risponderne di fronte ad una comunità che vuole conoscere e valutare le ragioni di un intervento comunque inaccettabile e ha tutto il diritto di interrogarsi in profondità su quale possa essere la reale qualità, urbanistica ed etica, di un progetto che inizia a realizzarsi con simili modalità.
Luciano Dottarelli
Presidente del Club per l’UNESCO Viterbo Tuscia